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Roma, caput mundi

Destinazioni speciali di una città tutta da scoprire
7 Gennaio 2025

Occhi puntati su piazza San Pietro, ginocchia che consumano le scale delle quattro basiliche, code in fila sulla passerella per ammirare da vicino la fontana più celebre del cinema, brusio di sottofondo ovunque. Dal 24 dicembre sono la lente attraverso cui Roma sarà vista da decine di milioni di pellegrini e di visitatori.

Per la 27esima volta dalla prima edizione del 1300, quando si pensava di ripetere l’evento una volta ogni secolo. Ma le cose cambiano e dal 1450 i giubilei divennero 4 per ogni secolo. Più quelli straordinari. Di ordinario - per quanto possa essere definito ordinario - c’è il resto, soprattutto il rito.

Ma nella Roma giubilare che stravolge le sue geometrie e si dispone ad affrontare l’onda umana adeguando il proprio ritmo a quello dello Stato con un’estensione di mezzo chilometro scarso, qualcosa di straordinario c’è. Si tratta delle donne, meglio: delle artiste. Quelle che hanno fatto fatica a emergere, per le quale matite e pennelli hanno avuto il peso di spade e di corazze per difendersi e per farsi largo in un mondo che le ignorava. Alcune di quelle donne sono protagoniste di una mostra che dura fino a marzo, allestita al Museo di Roma: sono 56 e le loro 130 opere coprono tre secoli, dal XVI al XIX. Raccontano l’evoluzione delle espressioni, lo sguardo e lo spazio che si sono fatte nel panorama (e nel mercato) dell’arte. Chi più chi meno.

Tra loro c’è anche Artemisia Gentileschi, ed è una delle più celebri. Anche per le sue vicende personali, oltre che per la sua arte. Roma fu per lei uno dei terreni di pratica, di incontri, di relazioni, di fatica. Roma fu la città in cui nacque ma che fu anche quella dove si consumò l’evento che influenzò la sua arte e da cui scaturì il quadro più famoso di Artemisia, Giuditta che decapita Oloferne (oggi al Museo di Capodimonte a Napoli).

La sua Roma si disegna attorno al quartiere di Campo Marzio, dove le facciate dei palazzi, il marmo delle statue, il selciato del fondo stradale rimandano ancora al passato. Unendo su una mappa geografica i luoghi della vita di Artemisia il tratto che viene fuori ricorda la punta di una freccia. O forse di una spada, quella di Giuditta che decapita Oloferne.

La violenza che subì e che le stravolse la vita avvenne in via della Croce, nei pressi di piazza di Spagna, dove l’artista abitò prima di lasciare per un periodo la sua città natale.

Dalla piazza parte via del Babuino, altra tappa della giovane Artemisia, che porta alla celebre via Margutta conosciuta come la via degli artisti, che fin dal Medioevo qui lavoravano e vendevano le proprie opere in botteghe che la resero celebre.

Poco prima di raggiungerla, su via del Babuino si trova un altro luogo legato all’arte, il caffè aperto nello studio di scultura di Antonio Canova che nel 1818 decise di affittare a un suo allievo, Adamo Tadolini, che ne divenne una sorta di erede spirituale. Da allora nell’atelier si succedettero quattro generazioni di scultori della stessa famiglia: i loro modelli, i lavori, gli studi anatomici e gi strumenti fanno parte di una collezione partico- lare conservata nelle sale che oggi accolgono il caffè Canova Tadolini.

Via del Babuino è una delle tre strade che convergono verso piazza del Popolo: quella a ridosso del Tevere, via di Ripetta, è la via in cui nacque Artemisia; quella centrale, oggi intitolata a Umberto I, nel XVI secolo era ancora un rettifilo su cui si svolgevano le corse del Carnevale e quelle dei cavalli berberi.

La grande piazza che si apre in corrispondenza della punta disegnata dai luoghi di Artemisia è quella della chiesa di Santa Maria del Popolo, dove Caravaggio dipinse la cappella Cerasi subito dopo aver realizzato i capolavori nella meravigliosa cappella di San Luigi dei Francesi, a due passi da piazza Navona. Qui, il panorama più bello è dall’alto del secentesco Collegio Innocenziano, parte dell’antico palazzo Pamphilj oggi diventato una dimora di charme, Eitch Borromini e che nel corso della storia ha accolto una scuola ecclesiastica, abitazioni per il clero, un convento e una libreria (al primo piano conserva ancora la ricchissima biblioteca privata dei Pamphilj).

Il progetto di questo edificio storico porta la firma di Francesco Borromini, l’artista amato dal papa che lo volle a corte e a cui è dedicato anche lo spettacolare ristorante del quarto piano, affrescato da Bernini e in cui si trova la Galleria d’arte Borromini affacciata su Roma.

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